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Recensione di: Vallanzasca - Gli angeli del male

15/01/2011 | Recensioni |
Recensione di: Vallanzasca - Gli angeli del male

Nella Milano degli anni Settanta, agiva quasi del tutto indisturbata una banda denominata della Comasina, che contribuì non poco a seminare terrore e morte, in un’Italia già devastata su più fronti. Ha inizio l’ascesa di un boss spregiudicato e leader carismatico ed affascinante; ma quella di Renato Vallanzasca, detto “Il bel Renè” per l’appeal suscitato sia nelle donne che nei media, è una figura che Michele Placido ci racconta sottoforma di videoclip musicale. Le immagini psichedeliche, il montaggio frenetico, l’uso reiterato e stancante della colonna sonora (esperimento mal riuscito già nel precedente “Il grande sogno”, 2009), deconcentrano lo spettatore da il fatto storico, assolutamente marginale a dispetto e beffa di chi vorrebbe saperne di più. Tralasciando le stantie polemiche che il film ha suscitato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, la maggior parte delle quali vertevano sull’ipotetica emulazione che avrebbe suscitato l’escalation criminosa resa sottoforma di gesta “gloriose”, il personaggio narra la propria storia, dentro e fuori le carceri italiane, in maniera talmente romanzata da far sembrare il tutto una colossale “barzelletta” fantasy. Omicidi, rapine e sequestri vengono scanditi al ritmo del progressive rock dei Negroamaro, la parabola criminosa gioca sulla totale fascinazione del protagonista nei confronti del pubblico. Nonostante questo il film non si cela dietro la mancanza di pretese d’assoluzione, tutt’altro, mascherato da “non elogio”, dimentica in più punti l’evento storico, e ad ovviare a questo inconveniente non bastano le ripetute didascalie di luoghi e date inserite per farci percorrere senza intoppi la strada dell’interminabile flashback fino ai giorni nostri. Kim Rossi Stuart, che ha collaborato alla stesura della sceneggiatura, è un attore superbo, ma non in questo ruolo nel quale risulta inadatto ad interpretare l’accento milanese (delle volte quasi tendente ad un idioma meridionale quale il barese), rischiando ogni volta di cadere nella trappola del caricaturale. Si può, oggi come oggi, parlare ancora di emulazione e mitomania? La paura che il film finisca con l’assolvere Vallanzasca, dovrebbe essere del tutto marginale se si considerano i “modelli” con i quali abbiamo a che fare costantemente.

Serena Guidoni

 


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